La Cappella della Madonna delle Grazie fu ricostruita perché buia e angusta e al suo posto sorse la Cappella del SS. Sacramento, consacrata nel 1727, dal Vescovo di Polignano, Rev.mo Pietro Antonio Pino, Visitatore Apostolico. Il tutto si legge su una lapide posta sulla parete destra della stessa.
La Cappella è delimitata da una elegante e artistica cancellata in ferro battuto con borchie a motive floreale in bronzo in ossequio ad un Decreto Pontificio del 1653, riguardante le chiese collegiate, come era classificata la Chiesa di San Pietro in quel tempo, la Cappella si presenta con preziosi marmi policromi ad intarsio per l’altare e la balaustrata, impreziosita con stucchi e tele dalle ricche cornici. Ha la volta a cupola, poggiata su pennacchi e venata da una densa tessitura di stucchi che rivestono anche il resto delle campate. E’ l'unica tra le cappelle ad avere la volta a cupola.
L'ampio altare, a ripiani, intessuto di eleganti motivi floreali su fondo bianco, è un'opera che risale al 1724 ed è stata realizzata dall'affermato maestro della scuola artistica napoletana Andrea Raguzzino.
Le tre tele presenti al’interno, raffigurano episodi biblici, prefigurazioni della presenza eucaristica,e precisamente:
«La moltiplicazione dei pani», la più grande, collocate al centro della cappella,
«La caduta della manna», a destra,
«Mosè che fa scaturire l'acqua dalla rupe», a sinistra. Tali tele si fanno ammirare per il gran numero dei personaggi ben costruiti e ricchi di sostanza pittorica, che si muovono, o si adagiano, con disinvoltura in uno spazio vasto e armonioso non privo di annotazioni naturalistiche. Benché mancanti di firma, sono da attribuirsi per caratteristiche stilistiche ad
Andrea Miglionico, allievo artista della scuola di
Luca Giordano, nato nel Cilento nel 1663 e attivo in Puglia dal 1706 al 1711. Il Miglionico dipinse tali opere, più che nell'ultima fase dell'attività pugliese, a Napoli, dove fa ritorno e vi muore nel 1718.
Nel «Mosè che fa scaturire l'acqua dalla rupe» (Esodo, cap. XVII), il gruppo emblematico delle due opulente donne dalle ampie scollature, con i corpi accostati e contrapposti a chiasmo; o l'accademica figura di quello che avanza, alle loro spalle in diagonale alla scena, dal plastico busto rotante nello sforzo di trattenere sulla spalla destra un prezioso e capace vaso delineato dalla luce radente; o ancora, il militare con riverberi luminosi sull'elmo e corazza, tutto piegato per avvicinare le labbra all'acqua corrente, da Mosè fatta scaturire dalla roccia dell'Oreb, nella località desertica da quel momento denominata Massa e Meriba, proprio per la sommossa degli Ebrei a causa della sete patita.
Nella tela de «La caduta della manna» (Esodo, cap. XVI) la scena non si diversifica molto. Al miracolo posto da Mosè, raffigurato in alto in atto di pregare con la testa rivolta al cielo, il popolo giulivo si piega a raccogliere il dono divino servendosi di prezioso e lumeggiato vasellame. Alla molte figure poco nitide sul fondo fanno contrasto figure in primo piano, saldamente costruite e diversamente atteggiate, come quella del militare, o l'altra di spalle, sulla sinistra, seduta su uno spuntone di roccia coperto da un manto azzurro, in tensione di rotazione.
Nella tela centrale, «La moltiplicazione dei pani», la più vicina, secondo varie interpretazioni, a «L'apoteosi di S. Teresa» (Chiesa di S. Teresa dei Maschi di Bari), i numerosi astanti (Apostoli e seguaci), intenti a saziare la fame con pane e pesce miracolosamente moltiplicati, si dispongono, con l'imponenza dei loro corpi, in ampio movimento che rotatorio intorno alla figura di Cristo il quale irraggia luce espandendosi per una gran porzione di cielo in cui volteggiano liberamente angioletti alati.
Al di sopra della opera pittorica centrale, dalla cornice dorata e decorata con un continuo festone di foglie a rilievo, poggiano due angioletti che sorreggono un ligneo timpano spezzato, al centro del quale spicca la figura dell'Eterno Padre benedicente.