Nell'immediato dopoguerra e per la precisione dal 1946, dopo la pausa bellica, si riprese a costruire carri allegorici e insieme a Fedele Dalessandro e Rocco Faniuolo altri carristi si dedicarono alla realizzazione artistica dei manufatti artistici in cartapesta. Tra questi vanno ricordati Angelo Notarangelo (Iang’l u zupp), Giuseppe Bianco ed il pittore Peppino Costanzo. E' ormai palese il coinvolgimento nell'arte della lavorazione cartapesta di più generazioni e alla prima della scuola di Fedele Dalessandro si affiancò il giovane figlio Valentino, che con la collaborazione di altri tre colleghi e amici, Franchino Netti (u musch’vet), Tonino Pagliarulo e Armando Genco migliorò la qualità dei pupi.
Guidati dall’estro creativo del Genco, i quattro riuscirono a rendere più realistici e dinamici nei lineamenti i personaggi in cartapesta, attraverso una modellazione più accurata del fil di ferro. Venivano così enfatizzate le linee dei profili e il pupazzo non risultava più schiacciato o squadrato come in passato. Il primo carro che racchiudeva in se tali nuove dinamiche era intitolato “Più ti denudi e men c’illudi” del 1949 che, oltretutto, fece scalpore per un’audace scollatura che spinse l’allora arciprete don Saverio Losavio a redarguire pesantemente i quattro giovani artisti. L'anno successivo, nel 1950, il gruppo realizzò un altro carro a pari tecnica dal titolo “Due ragazze ed un marinaio”.
Simultaneamente al predetto metodo di lavorazione se ne sviluppò in parallelo un altro, questa volta ad opera di Giannetto Basile che, al fil di ferro, preferiva la rete a maglie esagonali che si usava per recintare i pollai, che una volta modellata veniva rivestiva di carta impregnata di colla di farina.
Nei primi anni '50 cambiò anche il sistema di locomozione dei carri, adattandosi alle evoluzioni tecnologiche dei sistemi di trasporto del dopoguera. I carri in origine erano spinti o tirati a mano o da un asinello o un mulo, dagli inizi del 1950 cominciarono ad essere trainati dai primi camion comparsi sulla rete stradale a sud di Bari. che venivano integrati nel carro. Il camion per mimetizzarsi viaggiava in retromarcia, in pratica con la cabina nella parte posteriore del carro ed il povero autista procedeva per tutta la sfilata guardando la strada e il percorso una finestrella ricavata nella scenografia. Solo dagli anni 60 comparvero i primi trattori che risolsero definitivamente il problema dell’avanzamento dei carri.