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La ditta Contegiacomo e la Coppola: storia del berretto a visiera

Una questione meridionale! Non aspettate che vi parli dell’annosa ed irrisolta questione sociale, impantanatasi nel meridione d’Italia: un capitolo del grave problema esistenziale evidenziato dal filosofo e scrittore Benedetto Croce. La “Questione Meridionale” che egli tratta è divenuta anche un capolavoro editoriale, grazie all’arte litografica della casa editrice barese “Giuseppe Laterza & Figli”, fondatori, oriundi putignanesi.
 
Vi racconterò invece di una storia, divenuta…una questione meridionale per il motivo che essa trova le sue radici nelle regioni del sud-Italia: la Lucania, la Campania, la Puglia, la Calabria, la Sicilia ed anche la Sardegna.

 

La storia della “coppola” (a copp’l), ossia il berretto di stoffa, diffusamente portata sul capo dei ragazzi, giovani e adulti, a cavallo degli anni fine ‘800 e inizio ‘900 e per tutto il decennio 1950.

 

La coppola era il berretto del “quarto potere”: il proletariato indigente, lavoratore delle pietre (’u p’trarool); della terra (l’umm d’ fuoor), e del mare (’u p’scatoor).

 

La coppola:
quella sul capo dagli emigranti italiani che sbarcano sulle banchine al porto di Nuova York; quella che ombreggia il viso rugoso e bruciato dal sole de “I basilischi” dell’opera cinematografica di Lina Wertmuller;

 

quella messa sul capo del piccolo trovatello che accompagna Charlot nelle commoventi vicende offerte dal magistrale film “Il monello”;

 

quella di colore nero portata allegramente dello spazzacamino nell’adorabile film “Mary Poppins”, ed infine, la coppola nera del “picciotto” siciliano…Ju njentu sacciu!

 

La versione elegante e sportiva della “coppola” trova vita in Gran Bretagna dove i giocatori di golf la tenevano al capo sul classico smanicato di lana, appunto golf, pantaloni a fuso stretti al polpaccio, le calze scozzesi e le scarpe bianche trapuntate, alla Gene Kelly!

 

Si fabbricava anche la coppola “all’aviatore”: due falde penzoloni sulle orecchie, abbottonate sotto il mento per tenere calda la gola; modello anche usato dagli automobilisti, alla guida di macchine decappottate, buono per “il controvento”; come la coppola indossata dai piloti della “Targa Florio”: gara automobilistica che si disputava sulle polverose strade della Sicilia negli anni ’30 e ’40 del decorso secolo, e tanto amata dal principe Guglielmo Romanazzi-Carducci, marchese di Santomauro.

 

Il berretto con la visiera (’a copp’l), è stato “la variante povera” del cappello (’u cappidd), di feltro: rigido, a forma cilindrica, alto da dieci a quindici centimetri, a seconda del modello, imbarcato in cima, con alla base una falda larga sormontata da un nastro di raso oscuro.
La falda poi, possedeva una magica virtù: artatamente storta sulla fronte, mediante un movimento dell’indice e del pollice, come schioccare le dita tra loro, pare donasse al viso dell’indossatore un tocco di “aria misteriosa”.
Il cappello, indossato con fierezza e vanità dai “signori” più abbienti, era famoso con il nome di “Borsalino”, prodotto dell’industria italiana: in America diventa il caratteristico simbolo del potere mafioso “Cosa Nostra”. Il Borsalino faceva la sua bella figura se indossato e abbinato al classico vestito “gessato” doppio petto, oppure all’impermeabile grigio, come quello del fascinoso Humphrey Bogart in “Casablanca”.

 

La nostra coppola trova le sue origini, probabilmente, dal “turbante” indossato dagli uomini delle regioni nord-africane; esso adattato, modernizzato e reso più pratico, diventa il copricapo per eccellenza più diffuso e famoso nelle regioni del meridione d’Italia: proprio una questione meridionale!

 

cesare contegiacomo manifestoCesare Contegiacomo, pioniere delle attività industriali a Putignano, ultimo di 17 figli, il cui padre era commerciante di derrate alimentari, giovanetto, dopo una breve esperienza societaria per la produzione di cappelli e ombrelli, voluta dal suo padrino di battesimo, commendator Vito Nardone, intese fondare una ditta esclusivamente per la confezione di berretti.

 

La prima fabbrica, e siamo ai primi anni del 1900, venne ubicata nei locali dell’ex convento S. Antonio, già dei frati francescani, ormai in disuso da moltissimi anni.

 

La navata della chiesa sarebbe stata lo stanzone dove furono installate le macchine da taglio e cucito. Sui ruderi del convento spiccherà stranamente il fusto della ciminiera, alto circa venti metri, costruito in mattoni rossi, per convogliare ed espellere i fumi della caldaia a vapore necessaria al ciclo produttivo dell’azienda.

 

Si lavorava alacremente tutti i giorni e, si racconta, che il giorno 13 giugno di uno di quegli anni vi fu nella ditta un principio d’incendio fortunatamente domato; da allora il titolare decise che, in quel giorno dell’anno dedicato a S. Antonio, nell’opificio non ci sarebbe stata alcuna attività.

 

La sede dell’industria, con il marchio “Berrettificio Cesar”, cambia ubicazione trasferendosi nella nuova struttura di proprietà in fondo allo stradonen (npunt ‘a l’eer), poi Piazza Principe di Piemonte.
Siamo negli anni del 1950 e 1960, aggiornata nelle strutture ed impianti, la ditta Cesare Contegiacomo può contare anche sulla collaborazione dei figli: Saverio, Giuseppe, Roberto e delle figlie Elvira e Maria.

 

La “Cesare Contegiacomo-Confezioni” diventa famosa, non solo in Puglia, e completa la sua produzione anche con capi di abbigliamento per bambini, ragazzi e abiti da sposa. Vi lavorano centinaia di operaie, fino a toccare un picco di 800 presenze, provenienti anche dai paesi vicini, che raggiungevano la fabbrica ogni giorno, grazie al servizio dei treni della Ferrovia Sud-Est.
 

Negli anni del 1940, alcune delle maestranze della ditta Contegiacomo intesero fondare a loro volta delle attività similari: la ditta Giovanni Serio, la ditta Dalena & Barletta. Pure Vincenzo Leo ed i Fratelli Andresini avviarono le loro attività per la creazione di …coppole: il berretto a visiera.

 

a cura di Pierino Contegiacomo

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