Putignano dei primi del 900 un territorio in rivolta
I tumulti e la rivolta dei contadini contro i dazi sulle farine
La rivolta popolare fu causata dalle condizioni di estrema miseria e di sfruttamento in cui la popolazione, Putignanese e non, povera riversava negli ultimi decenni del 1800. Costituita da lavoratori della terra, per lo più contadini braccianti, padri, nonni e bisnonni "cafoni".
Al processo che ne seguì, gli stessi giudici del Tribunale di Bari, che sicuramente non parteggiavano per i braccianti pugliesi, a proposito dei motivi della rivolta scrivevano testualmente "di squallida desolante miseria e pauperismo .. . in cui oggi versa la classe diseredata di Putignano, causati dall"enorme instifficiente squilibrio fra lavoro e mercede". Una folla di circa 5.000 putignanesi (la città contava 13.969 abitanti al censimento del 10 febbraio 1901) per due giorni, il 13 e 14 maggio 1902, dette sfogo alla propria indignazione e rabbia nei confronti della ristretta classe dei grandi proprietari terrieri e dei ricchi borghesi che ingrassavano sul duro lavoro e sulla miseria dei lavoratori della terra. La protesta era anche rivolta contro il dazio, un sistema ingiusto ed esoso di tassazione indiretta che pesava soprattutro sui miseri consumi popolari.
Solo per il cibo, c'era il dazio sull'importazione del grano, base alimentare dei ceti popolari, per mantenere alto il prezzo del prodotto locale; c'era il dazio sui prodotti alimentari che dalla campagna arrivavano in città per il commercio o per l'autoconsumo familiare e dovevano pagare il dazio perfino quegli scarsi alimenti che molte famiglie contadine riuscivano a produrre per il proprio sostentamento.
Qualche mese dopo i drammatici eventi succitati, nel corso del Consiglio Comunale del 27 dicembre con ordine del giorno "Abolizione dei dazio consumo ed abbattimento della cinta daziaria", il marchese Giovanni Romanazzi Carducci, dichiarandosi a favore dell'abolizione, dovette ammettére che il dazio "colpisce solamente il povero". Non poteva certo aggiungere che questo avveniva per evitare di imporre una equa tassazione sulla proprietà terriera e su beni e redditi dei ceti abbienti, anche se implicitamente lo riconosceva "accettando per mio conto qualsiasi tassa possa colpire esclusivamente gli amenti". Il dazio fu abolito verso la fine dell'anno 1902. Salvo ripristinarlo alla prima occasione, tanto da trovarlo ancora in vigore fino agli anni successivi al secondo dopoguerra.