L’etimologia della parola tarallo è incerta, pertanto riuscire a ricostruirne la storia diventa difficile e al tempo stesso svariate sono le interpretazioni. Chi la accosta alla parola latina “torrère”, ovvero abbrustolire, oppure il termine francese “toral” ossia essiccatoio, per rimandare alla procedura di cottura in forno.
Se invece si fa una analisi sulla forma rotondeggiante, qualcuno pensa che il sostantivo tarallo derivi o dalla parola “tar” dall’italiano antico che significa avvolgere, o dal francese antico “danal”, che vuol dire pane rotondo.
Un’altra tesi vuole che tarallo discenda dall’etimo greco “daratos”, letteralmente “sorta di pane”.
Come sono nati i taralli
Ogni regione Italiana in antichità ha avuto periodi di carestia dovuti a guerre, epidemie e sopraffazioni e la popolazione per non soccombere sotto il peso della fame si ingegnava per preparare piatti con materie prime povere o scarti di produzione facili da lavorare.
A Napoli, ad esempio, il tarallo partenopeo, nasce alla fine del 1700 a ridosso delle zone popolari del porto dove viveva gente povera e malfamata. I fornai, del posto recuperavano gli “sfriddi”, ossia i ritagli della pasta del pane precedentemente infornato, e li impastavano con “sugna”, ossia lo strutto di maiale, e pepe e successivamente li infornavano dandogli forma ciambelloidale. Un secolo dopo, agli ingredienti già citati venivano aggiunte le mandorle sbriciolate.
L’origine della ricetta Pugliese dei taralli viene fatta risalire approssimativamente al 1400, quindi molto prima di quelli tradizionali Napoletani. La leggenda vuole che una madre, non avendo nulla con cui sfamare i propri figli, provò ad impastare quel che aveva conservato nell’armadio dispensa della cucina ossia, farina, olio extravergine di oliva, sale, vino bianco. Ottenne, dalla lavorazione manuale, un impasto quasi gommoso, che arrotolato tra le mani e il piano del tavolo e chiuso tra le estremità, si presentava come un anello. Dopo la lievitazione naturale veniva cotto in forno a legna.