Un recipiente di creta morfologicamente simile ad una giara di dimensioni, però, più importanti. Di colore giallo ocra o giallo bruno, è stato simbolo dell’abbondanza per la sua capacità variabile, da pochi litri a circa 300. Il termine capasone è di derivazione dialettale Pugliese "capase" cioè capace, ossia il contenitore più capiente tra quelli esistenti un tempo. Le sue dimensioni variavano da 25 a 150 cm di altezza, in rari casi fino a 2 metri, con un diametro massimo, nel punto di più ampia larghezza di circa 80 centimetri e una capienza che andava da circa 20 litri (chiamato a r'zol, cioè orciolo) e poteva arrivare anche a 200 litri.
La storia racconta che una volta in questi contenitori venivano stoccati vino, olio extravergine di oliva o l’acqua; i capasoni avevano la peculiarità di mantenere costante la temperatura al proprio interno, pertanto il contenuto non subiva sbalzi repentini e soprattutto per il vino si evitava che diventasse aceto. Negli anni passati, prima che entrassero in funzione le cantine sociali, il capasone era utilizzato al posto delle botti, mentre i viticoltori o proprietari dei vigneti, nel periodo della vendemmia, ne acquistavano alcune decine di esemplari di capacità importanti per conservarvi per tutto l'anno il vino prodotto. In alcuni casi potevano essere contenuti prodotti solidi o semisolidi, ad esempio fichi secchi o funghi conservati in aceto che potevano mantenersi per un intero anno. Prima di qualsiasi riutilizzo, il contenitre di creta veniva sottoposto a lavaggi con acqua e tufo macinato delle Puglie (pietra calcarea sbriciolosa tipica delle cave della regione), e l'interno veniva strofinato con spazzoloni alla cui cima erano legati ciuffi di essenze profumate.
La bocca del capasone era sigillata con un piatto, anch'esso di creta, fissato saldamente con un impasto di calce mista a cenere per garantirne una chiusura ermetica e quindi evitare contaminazioni dall'esterno. Nel basso, a circa venti centimetri dal fondo della capasa, veniva posizionata una piccola apertura di scarico, un rubinetto di legno chiamato cannedda, oppure un turacciolo detto pipolo.
Creare un capasone di dimensioni importanti che, come abbiamo visto sopra, potevano superare il metro e 50 richiedeva particolari abilità, pertanto pochi erano i maestri vasai tornitori in grado di trasformare l'argilla in opere di tale struttura.
La ceramica in Puglia è nata grazie al primo troglodita delle Murge o del Gargano, che impastando fortuitamente polvere d’argilla con l’acqua e lasciandolo essiccare al sole, si accorse che diventava duro come pietra. Cominciò così a modellare quel fango lavorandolo con le mani in modo da ottenere una forma concava, così creò la prima ciotola per attingere acqua.